Per una scuola più saggia che sapiente
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Quanti ricordi tornano alla mente ripercorrendo questa strada in cui
non passavo da quasi trent’anni. È tutto così diverso ma le sensazioni che
mi suscita sono impresse indelebilmente nella memoria: la via per il collegio,
la mia prima esperienza d’insegnamento, la consapevolezza, le delusioni,
il coraggio e la difficoltà della scuola di cambiare mentre tutto intorno si
trasforma, come questa strada che quasi non riconoscevo più.
Nel 1984, a vent’anni, ho iniziato a insegnare nella scuola trentina: con
un diploma quinquennale e una successiva abilitazione per l’insegnamento
della lingua tedesca, sono stata chiamata per una supplenza annuale in due
scuole primarie di un paese molto distante dal mio. Stavo per dare un altro
esame da non frequentante all’università di Padova, volevo laurearmi in
psicologia e sapevo che avrei potuto farlo solo mentre tentavo di tutto per
ottenere al più presto un posto e uno stipendio fisso. Così, valigia in mano,
sono partita e, per l’esame, ho puntato all’appello successivo. Non sapevo che
stavo andando incontro a un’esperienza difficilissima, di quelle che o molli
subito o resisti a tutti i costi e allora ti fai le ossa veramente dure. Una delle
due scuole era infatti un collegio con classi formate esclusivamente da bambini
cosiddetti «caratteriali» perché figli di detenuti, prostitute, tossicodipendenti
o provenienti da situazioni familiari devastate. Peccato che nessuno, quando
sono arrivata con la mia valigia in mano, me l’abbia spiegato; né il direttore
didattico che, quando mi ha vista, ha solo commentato negativamente la
mia giovane età chiedendosi come mai avessi accettato un posto così lontano
Capitolo quarto
Per una scuola più saggia
che sapiente
di Maria Arici
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