Per una scuola più saggia che sapiente
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Nel lavorare con gli allievi stranieri ho particolarmente approfondito
l’aspetto dello sviluppo linguistico, non perché sia l’unica attenzione da
promuovere, ma perché la lingua è un potente strumento di cittadinanza e,
come dice don Milani, è «solo la lingua che rende uguali e ogni parola che
non conosci è una pedata nel sedere in più che avrai nella vita»
.
Mi sono resa conto che l’ingresso degli stranieri nelle classi ha
cominciato a far riflettere di più e meglio anche sulle prestazioni degli
allievi italiani e a far capire che i modelli tradizionali di insegnamento
non funzionano più con nessuno. Sono fermamente convinta che questa
consapevolezza, unita alla voglia di mettersi in discussione e cambiare,
possa migliorare il modo di far scuola per tutti. È per questo motivo che
da alcuni anni, sull’onda dell’«emergenza stranieri», cerco di stimolare il
necessario cambiamento della scuola, non lavorando più a diretto contat-
to con gli allievi, se non in casi eccezionali, ma con i docenti di classe, i
facilitatori linguistici, i referenti per le iniziative interculturali e i dirigenti
scolastici. È un tipo di lavoro sicuramente diverso dall’insegnamento
diretto, ma di certo non meno impegnativo, in cui si alternano grandi
soddisfazioni e amare disillusioni, diversamente dal lavoro con gli allievi
con i quali, trovata la chiave, è molto più facile realizzare una graduale e
soddisfacente progressione.
So che il reale cambiamento della scuola non si improvvisa e che
non potrà realizzarsi in tempi brevi. So che si deve fondare su un aumento
delle competenze culturali, pedagogiche e didattiche degli insegnanti in
un momento storico in cui essi, per diversi motivi, non sono realmente
stimolati a rimettersi in gioco e a rinnovarsi. È proprio per questo però che
sono fermamente convinta che si debba far leva sul gusto di fare scuola,
una sensazione che io ho provato nella mia carriera di insegnante, che in
alcuni momenti ho anche rischiato di perdere e che ho recuperato solo
rinnovandomi e non smettendo mai di ricercare, approfondire, tentare
nuove vie. È questo che la scuola dovrebbe saper fare secondo me: vivere
insieme ai ragazzi il desiderio e il gusto della sfida, non barricarsi, non
chiudersi in se stessa per preservarsi, ma aprirsi al mondo reale, interagire
con esso, dare primato al significato di ciò che fa e propone, creare contesti
reali e fedeli alla realtà, che riflettano le esperienze di vita e attrezzino gli
allievi, tutti gli allievi, a raggiungere le competenze di adulti competenti.
Puntare all’essenzialità, perseguendo quella giustizia e quell’equità educativa
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