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Giorni di scuola
da casa, né gli insegnanti delle classi dove io faticosamente, ingenuamente,
insegnavo tedesco nel pomeriggio mentre quei bambini esigevano ben altro
ed esprimevano a modo loro, chi minacciando di buttarsi dalla finestra della
classe, chi tentando di appiccare il fuoco a qualsiasi oggetto infiammabile,
chi cercando di rovistare nella mia borsa per appropriarsi di qualsiasi cosa,
ben altri bisogni. Per quasi due mesi ho pensato di essere davvero incapace
di insegnare, ho vissuto la disperazione del fallimento senza capire nulla di
quello che mi stava accadendo e ho tenuto duro solo perché il mio adorato
papà mi aveva sempre insegnato, con le parole e con l’esempio, che nella
vita non si molla mai di fronte alle prime difficoltà. Poi, un pomeriggio di
novembre, la prima riunione ufficiale con gli insegnanti del mattino, che
fino a quel momento non avevo mai visto, e che ho scoperto più abbattuti e
scoraggiati di me: con tristezza mista a rassegnazione, mi hanno finalmente
narrato le biografie di quei bambini. Ho visto immediatamente uno spira-
glio di luce, mi sono resa conto che non era responsabilità mia se le azioni
didattiche che mettevo in atto non avevano gli effetti desiderati, ho capito
che, in quel contesto, contavano probabilmente molto di più i miei studi
di psicologia che il perseguimento accanito degli obiettivi didattici. E ho
continuato a tener duro.
Mi sono poi inserita in un gruppo di insegnanti di lingua straniera
che, all’epoca, senza preoccuparsi di come farsi riconoscere quelle ore di
lavoro, si trovavano periodicamente per progettare insieme i loro interventi
di glottodidattica e per costruirsi i materiali necessari, in un periodo in
cui nell’editoria non esisteva ancora praticamente nulla. Lo facevano con
entusiasmo e convinzione, nella consapevolezza che più teste insieme la-
vorano meglio di una sola e che il confronto in gruppo è allo stesso tempo
fecondo ed economico: c’era una distribuzione delle mansioni, sulla base
delle doti personali di ciascuno, degna dei migliori team aziendali. Io,
da neofita qual ero, davo solo dei miseri contributi però non saltavo un
incontro, osservavo molto e ascoltavo le riflessioni sulle varie esperienze
d’insegnamento e i confronti che ne scaturivano, arricchendo il mio bagaglio
pedagogico-didattico quasi senza accorgermene. Negli anni questo trovarsi
tra insegnanti, per progettare e costruire interventi e materiali, si è perso
per vari motivi. Ci si trova, forse anche più che in passato, ma con finalità
e modalità diverse che assai raramente hanno ormai l’effetto di qualificare
o migliorare la scuola.
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