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Educazione e competenze interculturali nella scuola di tutti
A scuola, l’approccio e le competenze interculturali non dovrebbero tradursi in
interventi di tipo sommatorio (accanto alle lezioni di storia o di geografia previste
si aggiungono quelle inerenti ai bambini immigrati presenti in classe), ma neanche
solamente in azioni
ad hoc
da realizzare in aggiunta o sostituzione dei programmi
previsti, come ad esempio progetti o attività circoscritte: occorre promuovere
una
forma mentis
interculturale
,
includendo tale prospettiva all’interno di ogni
disciplina e ogni attività.
Peraltro, a scuola per attuare esperienze di natura veramente interculturale
non basta il semplice contatto con l’alterità, ma bisogna imparare a interagire in
maniera opportuna. Per stimolare negli alunni nuovi modi di pensare, di agire e di
relazionarsi in chiave interculturale sono necessarie specifiche riflessioni metodo-
logiche: progettare e attuare eventi interculturali a partire da un’occasione oppure
da un tema specifico (incontro con un mediatore culturale, festa, narrazione);
programmare attività specifiche rivolte a tutti gli alunni della scuola; promuovere
l’educazione interculturale mediante la didattica delle discipline, attuare la revisione
dei curricoli in chiave interdisciplinare e interculturale (Demetrio e Favaro, 2002).
Purtroppo in Italia la realtà è ben diversa. In molte scuole pare non sia stato
ancora elaborato un modello di vero confronto con il pluralismo né a livello
politico né a livello culturale (Santerini, 2003, pp. 186-203). Damiano (1999,
p. 16) riferisce come le modalità in cui la scuola italiana ha risposto alla presenza
di bambini immigrati siano soprattutto:
invisibilità
(problemi negati o rimossi),
patologizzazione
(esigenze degli alunni stranieri affrontate con forme di pedago-
gia compensativa),
culturalizzazione
(si prende atto della diversità culturale). A
suo parere negli ultimi anni nelle scuole italiane si assiste soprattutto a soluzioni
estemporanee, laddove le attività interculturali sono inserite in alcuni periodi della
programmazione didattica e con poche o mancanti connessioni con il resto del
programma. La scuola si trova ancora a gestire la presenza di alunni immigrati in
termini di emergenza. Tale circostanza impedisce non solo l’attuazione di progetti
interculturali, ma anche la piena consapevolezza dalle trasformazioni epocali sottese
alla globalizzazione: molti insegnanti agiscono soprattutto in termini di accoglienza,
ripetono l’esperienza delle classi differenziate per alunni stranieri e rischiano di
formare «ghetti pedagogici».
Scuole arcobaleno: e le altre diversità?
Nella società complessa, nel tempo del neoliberismo, a scuola le differenze non
scaturiscono solamente dalla presenza di bambini immigrati. Molti alunni sono
diversi sotto molti altri profili: economico, sociale, di status (accettati o esclusi
dal gruppo), vicini o lontani ai principi postmoderni, in situazione di mobbing,
di disagio o di disturbo fisico psichico o psicosomatico, ecc.
Come affrontare tutte queste altre forme di diversità? A mio parere è giunto il
tempo di estendere ulteriormente i concetti di cultura e di pedagogia interculturale.
All’alba del terzo millennio, dopo aver superato il concetto di pedagogia per stra-
nieri, occorre ora superare altre province pedagogiche. La pedagogia interculturale,
fondandosi sul confronto del pensiero, dei concetti e dei preconcetti, divenendo
una pedagogia
dell’essere
(Secco, 1999, pp. 620-632), pone al centro la persona
umana nella propria interezza. La qual cosa implica non solo il prescindere da lingua,
cultura o religione di appartenenza, ma anche da tutte le altre forme di diversità.
Oggi la scuola affronta la sfida di arginare la cultura del capitalismo e del neoli-
berismo, rivendicando il ruolo formativo al pensiero critico, rispettoso di ogni forma
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