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Alla ricerca di una ragion d’essere per le ICT nella scuola
Che cosa se ne può desumere? In primo luogo che nell’avvicinarci all’impiego delle
ICT nella scuola dovremmo tutti concordare sul fatto che sono le metodologie (e gli
insegnanti che le impiegano), e non le tecnologie, che fanno la differenza (Clark, Ngu-
yen e Sweller, 2006) e ricordare quanto in Salomon et al., 1991 in modo lapidario già si
affermava ai primordi del loro ingresso nella scuola: «Nessuna tecnologia informatica può,
in se stessa,
avere effetto sull’apprendimento». La stessa ipotesi che le tecnologie possano
esercitare effetti durevoli sui processi cognitivi va trattata con cautela. Essa può essere
ragionevole eventualmente nei tempi lunghi —un esempio di ciò è dato dagli effetti della
scrittura, il cui rapporto con lo sviluppo del pensiero analitico è stato sottolineato da Ong
(1986); nei tempi brevi potrebbe forse concernere frequentazioni molto intense protratte
per diversi anni;
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con maggior sicurezza possiamo affermare che le tecnologie tendono
istantaneamente a favorire sovraccarico, aspetto messo in evidenza dalla
Cognitive Load
Theory
(CLT), un orientamento che ha avanzato anche forti critiche al costruttivismo
tecnologico (Mayer, 2004; Kirschner, Sweller e Clark, 2006); attività come la ricerca
libera di informazioni pertinenti, affidabili e la stessa navigazione ipertestuale sulla rete
risultano tutt’altro che semplici per persone poco esperte del dominio o per nativi digitali
(Brand-Gruwel, Wopereis e Vermetten, 2005; Chen, Fan e Macredie, 2006).
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Uscire dal genericismo e dall’accettazione incondizionata
Come pedagogisti dobbiamo dunque sottolineare l’importanza di una ricerca che
in primo luogo metta a nudo le retoriche che accompagnano l’innovazione tecnologica;
avere degli educatori avveduti, capaci di imparare dagli errori del passato e di compiere
scelte criticamente argomentate è forse la via più importante per un cambiamento reale
della qualità della scuola, con o senza tecnologie. Le nuove tecnologie rappresentano
un mondo estremamente variegato, possono avere implicazioni diverse e giocare ruoli
inaspettati. È fondamentale passare da un atteggiamento del tipo: «Le tecnologie ci sono,
rappresentano un dato che caratterizza la realtà odierna, è
comunque
utile e positivo
usarle», a un atteggiamento che parte dal chiedersi quali possano essere le motivazioni
razionalmente fondate (sperimentalmente, metodologicamente o eticamente) per il loro
uso e le finalità educative a cui vanno rivolte. Si chieda a un insegnante che ha deciso di
impiegare le tecnologie in classe di motivare la sua scelta. Generalmente risponderà che
si aspetta un migliore apprendimento, che gli alunni possano apprendere in modo più
piacevole, o tirerà in causa il fatto che le tecnologie sono ormai parte della vita quotidiana
e quindi non si può prescindere da esse. Si provi allora, in modo più stringente, a spin-
gerlo a chiarire se le tecnologie sono per lui un
mezzo
(ad esempio per imparare meglio
la storia, la matematica) o rappresentano l’
oggetto
stesso dell’apprendimento (si usano
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Un esempio potrebbe essere costituito dalle conseguenze sul piano cognitivo delle pratiche multita-
sking. A questo riguardo sussistono evidenti correlazioni tra le suddette pratiche con diminuzione
dell’attenzione senza che tuttavia si possa stabilire un nesso causale (Ophir et al., 2009).