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Il gioco nella didattica
vo, cosicché l’alunnopuòavere adisposizione strumenti di riflessione cognitiva
e metacognitiva inadeguati rispetto a ciò che di norma ci si attenderebbe. In
realtà, accade anche qualcosa di più grave: l’allievo non riesce a sviluppare
in modo spontaneo le capacità necessarie per riflettere e apprendere dalle
esperienze e in questo modo tende ad accentuare la differenza con l’appren-
dimento degli altri alunni, a non riuscire più a svolgere le attività insieme agli
altri, arrivando talvolta a mettere in atto azioni di disturbo, di indisciplina fino
alla violenza vera e propria. Questo tipo di comportamento può verificarsi sia
come reazione nei confronti del senso di estraniamento dalla comunità, sia nel
tentativo di rivalutare la propria immagine e la propria persona cercando di
incidere, pur negativamente, sulla situazione: terrorizzare gli altri alunni della
classe e far infuriare gli adulti sono un modo per opporsi alla convinzione
generale di inferiorità provocata dall’incapacità di svolgere le esercitazioni e
le attività scolastiche.
Il gioco, in questo contesto, può svolgere una funzione estremamente
positiva: l’attività ludica in senso stretto, nella scuola dell’infanzia e nella
primaria, può essere un’attività comune a tutti gli alunni, che favorisce la so-
cializzazione, lo sviluppo della capacità di collaborare ma anche delle capacità
intellettive di tutti.
In secondo luogo, può consentire di ottenere successo e affermazione
anche all’allievocondifficoltà, evitando il crearsi delle situazioni problematiche
sopra descritte.
In terzo luogo, soprattutto quando gli allievi si fanno d’età maggiore, è
possibileproporre loroattività che, pur relative alle variediscipline scolastiche,
vengano svolte mediante modalità che riproducono gli elementi di riflessione
e apprendimento tipici del gioco. In questo modo l’insegnante può svolgere il
proprio ruolo di mediazione favorendo lo sviluppo delle capacità del singolo
allievo e individuando le modalità più efficaci per ciascuno (Feuerstein, 1980,
pp. 15-16); si evita di proporre attività da un lato eccessivamente semplici,
che demotivano l’alunno allo studio, non gli consentono di apprendere nulla
di nuovo e rischiano persino di provocare regressioni nello sviluppo delle
capacità intellettive, e dall’altro troppo complesse, che non incidono sullo
sviluppo cognitivo perché l’allievo non è ancora in grado di comprendere
la complessità della situazione di apprendimento e di interagire con essa. In
realtà, un’attività impostata sulle modalità simili al gioco permette di operare
sulla zona di sviluppo prossimale, consentendo di individuare l’intervento
educativo più efficace (Vygotskij, 1935, pp. 124-134) e di elaborare strategie
e metodologie di lavoro utili e adeguate anche a coloro che si trovano in dif-
ficoltà di apprendimento.