L
A GESTIONE
DELLA
CLASSE
:
AUTORAPPRESENTAZIONE
,
AUTOCONTROLLO
,
COMUNICAZIONE
E
PROGETTUALITÀ
517
G.
Va bene, parliamo pure di leadership o, se preferisci, di autorevolezza, ma rimane il
quesito: sono doti che uno si ritrova «ab origine» o sono competenze che si apprendono?
T. È difficile, e forse impossibile, dire quanto un certo comportamento sia frutto di
temperamento e quanto di esperienza acquisita in condizioni più o meno favorevoli.
P. Certo è più facile essere autorevoli in un liceo piuttosto che in una scuola media o
in un istituto professionale.
T. Diciamo che servono capacità diverse. Gli studenti liceali, spesso, anche se non
sempre, sono più gestibili dal punto di vista disciplinare, ma sono più critici ed
esigenti dal punto di vista culturale. Immagino che coinvolgere dei bambini di scuola
primaria sia più facile, ma sia più difficile gestire la classe per tempi prolungati.
Ma, ripeto, è solo un’impressione, perché non ho esperienza in questo campo.
P. Anche nella primaria uno l’autorevolezza se la deve conquistare. Non è che arrivi
gratis. Sì, in un primo tempo i bambini ti danno fiducia, ne hanno bisogno, ma il
problema è conservarla nel tempo.
G.
Quindi ciò che varia è il fattore età: in un caso, quello dei ragazzi più grandi, la
difficoltà maggiore consiste nel conquistare autorevolezza, mentre nell’altro caso, dei
bambini piccoli, è più difficile mantenerla. Rimane però sempre aperto il problema:
oltre che da un temperamento favorevole, da cos’altro dipende l’autorevolezza di un
insegnante?
P. L’autostima gioca un ruolo importantissimo: uno che ha fiducia in se stesso, e in
quello che fa, riesce a trasmettere fiducia anche agli altri.
T. Non dimentichiamo che ci sono anche dei fattori di contesto che possono agevolare
o danneggiare. In una scuola si fa presto a spargere la voce: la fama precede le
persone. Per cui, prima ancora di entrare in classe, un insegnante è già in qualche
modo marchiato, in positivo o in negativo, e questo conta molto sulle aspettative
degli alunni e sui comportamenti che ne conseguono.
G.
Ma cosa deve fare allora un insegnante? Deve darsi da fare come i politici, preoccu-
parsi di come apparire, diventare manager della propria immagine?
T. Capisco la punta polemica che c’è nelle tue parole. Sono convinto anch’io che una
professione seria e importante come quella di educatore non debba farsi irretire
dagli aspetti deteriori della società dello spettacolo, dalla smania di apparire.
P. Ma la questione di come ti vedono ha una rilevanza molto seria dal punto di vista
della relazione educativa, ed è necessario porsela in modo chiaro. Ti confesserò
che, soprattutto nell’impatto iniziale con una classe, io bado anche a quale abbi-
gliamento scegliere. So che può sembrare futile, ma mi sono resa conto che ha una
certa importanza nell’impostare la relazione. Noi non ci incontriamo con l’essenza
dell’altro, con la sua anima, ma con la rappresentazione che ce ne facciamo.
G.
E quindi ci sarebbero rappresentazioni più comode, diciamo pure vincenti, e altre più
svantaggiose, che si dovrebbero evitare?
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