100
Litigare per crescere
aggressività. Si apre il grande capitolo della gestione del conflitto tra bambini
e dell’approccio che l’educatore adotta. L’educatore o l’educatrice che temono
ogni manifestazione, in termini di scambio verbale o fisico, della rabbia o della
frustrazione dei bambini, saranno maggiormente portati a utilizzare modalità
molto direttive per difendersi da eventuali attacchi. Non è da escludere che
una difficoltà nella gestione derivi anche dalla paura per l’incolumità fisica del
bambino. Educatrici raccontano di essere terrorizzate all’idea di riconsegnare
unbambinoal genitore conungraffio: allora frenanomaggiormente lepossibili
attività o mettono a tacere subito ogni forma di approccio e litigio.
Abbiamo visto che nel momento in cui l’educatore sa leggere l’aggressi-
vità infantile, la sa codificare, è pronto anche a dare una risposta adeguata (si
vedano capitolo 1 e capitolo 3). Quando l’educatore ha paura, allora scattano
automatismi che frenano ogni apprendimento sia infantile che adulto.
Il bambino a questa età può esprimersi in maniera aggressiva, ormai è
assodato che l’aggressività è una predisposizione del comportamento, cioè
una caratteristica congenita che può rendere più rapido l’apprendimento di un
comportamento. Ambiente e contesto creano il terreno fertile per sviluppare
questa predisposizione (Lorenz, 2008).
Sotto i 3-4 anni essere aggressivi è un po’ come cadere. Come ci ricor-
da Piaget i bambini di quell’età non hanno ancora sviluppato la capacità di
coordinazione e di equilibrio: nello sviluppo vi è una prima fase sensoriale e
motoria che dura fino ai 2 anni circa, si passa poi alla fase preconcettuale fino
ai 4 anni con la comparsa delle funzioni simboliche, e solo attorno ai 5-7 anni
arriva la fase del pensiero intuitivo, con la rappresentazione organizzata delle
proprie azioni (Piaget, 1970). È da questo momento in poi che si può parlare
quindi di pensiero reversibile o di intenzionalità dell’atto violento: prima il
bambino acquisisce determinati comportamenti permezzodell’imitazione di
un’esperienza specifica e della canalizzazione sociale. Oppure perché si trova
in una situazione di disagio e insicurezza. Compito dell’adulto quindi, non
è quello di confermare quei comportamenti con punizioni o rigidità incom-
prensibili per i bambini, ma di aiutarli ad attrezzarsi per imparare a trasformare
l’aggressività fisica in una narrazione: sostenere i bambini a comprendere
anche a livello emotivo quello che stanno vivendo, aiutarli a riconoscerlo
per poi trasformarlo. La gestione del gruppo diventa così molto più semplice,
se si mettono da parte le ansie che portano a voler risolvere velocemente la
situazione di conflittualità e se si lascia ai bambini la possibilità di esprimersi.
Il tutto in un contesto di fermezza dell’adulto riguardo alle regole e fondato
su una comprensione dei fenomeni che portano il bambino ad agire in un
determinato modo.
© Edizioni Erickson
1,2,3,4,5,6,7 9,10,11,12,13,14,15