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Imparare scoprendo
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Gli ingredienti della scoperta
Come già messo in evidenza, non bisogna dare per scontata la motivazione alla sco-
perta dei ragazzi. Le forme di didattica più interattive e coinvolgenti hanno procurato
cocenti delusioni a più di un docente/educatore.
La motivazione in questi casi si fonda sul valore percepito dell’attività, sulla sua coe-
renza all’interno del contesto di presentazione e sull’equilibrio del rapporto tra richieste
e benefici. In ambito universitario, ad esempio, capita che gli studenti si impegnino
maggiormente in un progetto da condurre in modo autonomo quando questo viene
valutato, piuttosto che semplicemente approvato. Ci sono tuttavia situazioni nelle quali
gli studenti profondono un grande impegno senza un ritorno immediato in termini di
crediti. Che cosa scatta in queste situazioni?
Riprendendo il pensiero di Ausubel (1983), si può dire che l’elemento base per un
apprendimento significativo nel quale lo studente decida di investire in termini di impegno
e attivazione di risorse — lasciandosi coinvolgere pienamente — è responsabilità unica
del discente stesso: è lui che deve voler imparare e, nel caso specifico, scoprire. Questa
intenzionalità si fonda sulle esperienze precedenti, sul significato attribuito sia alle cono-
scenze pregresse sia a ciò che viene proposto a livello di contenuti e di metodo. Influiscono
anche gli obiettivi e i contesti di presentazione: un compito che propone contesti reali
(o realistici) permette di cogliere una certa continuità tra il momento in cui si costruisce
l’apprendimento e quello in cui si potranno implementare i concetti appresi; un com-
pito che richiede la realizzazione di attività rilevanti, professionalizzanti o socialmente
apprezzabili è più motivante e credibile (Pontecorvo, Ajello e Zucchermaglio, 1995).
Non ultimo, sulla decisione di «voler scoprire» agisce anche l’interesse personale.
Si tratta di un costrutto che fa riferimento al piano cognitivo e affettivo e che può
essere sviluppato sia in modo autonomo dal discente — quando ad esempio coglie i
compiti che gli vengono assegnati come opportunità o sfide — sia grazie all’intervento
mirato dei docenti che cercano di orientare positivamente gli studenti verso determi-
nati ambiti o attività. Per spiegare la dinamica dell’interesse Hidi (2006) fa appello a
un sistema cerebrale
(seeking)
che, in presenza di qualche cosa di interessante, produce
un sentimento di anticipazione, esplorazione, investigazione, curiosità, aspettativa, ri-
cerca di significato profondo. A questo punto, dal primo interesse scaturisce una prima
risposta affettiva (curiosità, piacere, ecc.), che porta a persistere nell’attività, favorendo
così l’apprendimento.
Hidi (2006) distingue una forma di interesse individuale e una situazionale. Si parla
di interesse individuale rispetto alla tendenza soggettiva a preferire un determinato ambito
di contenuti o di capacità, mentre l’interesse situazionale è quello stimolato dall’ambiente.
Rousseau affermava che «si è curiosi soltanto nella misura in cui si è istruiti», ma
probabilmente la distinzione operata da Hidi può aiutare a comprendere che l’interesse
è forse, più probabilmente, un processo che si autoalimenta. Riportando il discorso alla
scoperta, si può infatti ipotizzare che lo studente avvii la sua ricerca a partire da interessi
personali preesistenti — che in questo caso saranno arricchiti dall’ambiente — oppure
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