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Imparare scoprendo
modo realistico e dettagliato gli obiettivi e gli esiti attesi del proprio lavoro: aver chiari
e presenti le condizioni del compito, il livello delle proprie capacità e le modalità di
procedere. Capita spesso, ad esempio, che una fase dell’esplorazione o della ricerca sia
talmente impegnativa o divertente da non lasciare tempo per il resto del lavoro o che il
piano di lavoro predisposto sia ambizioso perché spinto dall’interesse personale, ma non
realizzabile con le proprie risorse. Come già visto, si deve poi prestare grande attenzione
ai feedback attraverso un monitoraggio continuo o una verifica finale che permettano di
adattare comportamenti e decisioni
in itinere
o nelle occasioni successive (Zimmerman,
1989; 2000; Loyens et al., 2008).
L’apprendimento autoregolato — soprattutto i modelli degli anni Novanta — at-
tribuisce particolare valore al contesto nel quale lo studente si muove. Si parla di teorie
context-driven,
proprio perché basate sull’idea che la persona nella sua totalità sia al centro
dell’azione nel contesto di apprendimento, quindi occorre porre attenzione non soltanto
agli obiettivi cognitivi ma anche a quelli socioemotivi. Lo studente lasciato libero di speri-
mentare, confrontarsi con la realtà, scoprire e costruire i propri significati, condividendoli
con il gruppo di riferimento, sviluppa degli obiettivi di apprendimento non più legati
unicamente ai contenuti, ma all’intero sistema personale di obiettivi (Boekaerts, 1997;
2002). Il docente deve aiutare il discente ad arrivare a generare obiettivi di apprendimento
a partire dalla propria gerarchia di obiettivi, facendogli cogliere la relazione di questi con
gli obiettivi sociali e di benessere.
Nel percorso ideale di queste pagine, è stato delineato l’apprendimento attraverso la
scoperta nelle sue radici storiche, ne sono stati messi in luce i rapporti con altre forme di
apprendimento simili, è stato definito il ruolo dell’adulto di riferimento (docente, educa-
tore, formatore). Si è poi passati ad analizzare quali caratteristiche in termini di capacità
e processi identifichino uno studente ben equipaggiato per avventurarsi nella scoperta,
sia in modo autonomo, sia in un gruppo di pari. Resta ancora una questione piuttosto
spinosa e in parte aperta che, più che concludere questo contributo, rinvia a ulteriori
approfondimenti. Si tratta infatti di capire come, che cosa e quanto di ciò che viene
scoperto riesca di fatto a essere generalizzato e trasferito dallo studente in altri contesti.
Sebbene sulla carta questo modo di apprendere offra garanzie di successo, si è visto
che anche la scoperta non è esente da limiti rispetto all’efficacia: si possono verificare
cali motivazionali, influiscono molto le condizioni del compito e del contesto (materia,
classe, ecc.). La letteratura di ricerca indica piuttosto unanimemente che gli studenti
hanno difficoltà ad autoregolarsi spontaneamente, a trasferire strategie e conoscenze tra
domini diversi (a meno che non siano esplicitamente allertati circa la possibilità di farlo o
la natura della relazione tra gli ambiti; Salomon et al., 1991). Incontrano difficoltà anche
nell’autovalutare la propria prestazione o a giudicare i propri livelli di apprendimento (a
meno di poter accedere a standard esterni e oggettivi di confronto, ma anche in questo
caso le percentuali di affidabilità delle autovalutazioni non appaiono altissime; Rawson
e Dunlosky, 2007).
In questo panorama generale, come considerare l’apprendimento attraverso la scoperta?
Partendo dalla constatazione che le difficoltà segnalate affliggono qualsiasi forma di
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