Dispersione scolastica e politiche per il successo formativo
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mento anche tutta l’area del disagio giovanile, scolastico ed extrascolastico,
il quale sarebbe l’espressione del rischio evolutivo delle nuove generazioni,
non necessariamente dei soggetti svantaggiati, nei loro difficili rapporti con
il sistema sociale e le sue regole. Tale concezione
emergenziale
è alimentata
dalle preoccupazioni verso la devianza come esito delle carenze di regolazione
e di socializzazione (soprattutto da parte della famiglia), ma non risparmia
toni critici anche verso strategie didattiche poco attente ai bisogni soggettivi,
che diventano fattori di concausa della decisione di abbandonare gli studi.
Emerge la necessità di pervenire a indicatori più complessi per misurare i
fenomeni dispersivi, onde includervi anche chi rimane dentro il sistema con
modalità irregolari, disfunzionali, e con carenza di motivazione e competenze
(Ribolzi, 1984); si studiano gli intrecci causali della dispersione mediante
modelli sistemici che contemplano fattori socioculturali, socioeconomici,
scolastici, personali (Besozzi, 1983). Le politiche, in questa fase, non si
concentrano più sugli interventi mirati alle cosiddette «fasce deboli», ma
sulla programmazione di supporti straordinari da garantire alla scuola di
massa per migliorare la sua «capacità di tenuta».
Alla metà degli anni Novanta, secondo Besozzi (2006c, p. 186), si apre
una stagione nuova nell’analisi e nel contrasto alla dispersione, caratteriz-
zata da una
visione contestualizzata
del fenomeno che possiamo considerare
ancora valida. Assodato che la dispersione non possa essere attribuita a un
unico fattore causale, e che si presenta per sua natura come trasversale alle
condizioni giovanili, tanto da includere forme di abbandono volontario e
di autoesclusione, si inizia a constatare che essa trova radici nell’esperienza
situata dei soggetti, in vissuti e percorsi di insuccesso scolastico, preludio
immancabile dell’irregolarità e dell’abbandono.
L’attenzione si sposta dall’individuo che si disperde ai segnali precedenti
la dispersione e al contesto che li registra:
motivazioni fragili, incapacità deci-
sionali, stati di disagio, fasi di transizione, episodi fallimentari, traiettorie
discendenti, perdita e carenza di risorse materiali e simboliche, ecc. Questi
elementi non vanno visti come attributi soggettivi, e trattati con dispositivi
di sostegno individualizzato, ma come caratteristiche degli ambienti in cui
il soggetto fa esperienza di apprendimento, da trattare in sede locale e, in
riferimento alle autonomie scolastiche che nel contempo assumono perso-
nalità giuridica (con la legge 15 marzo 1997, n. 59), da prendere in carico
direttamente. Ciascuna scuola, pertanto, nell’esprimere attraverso il Piano
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